Mettiti nei miei panni!

Avete mai pensato all’origine del detto “Mettersi nei panni di qualcuno“?

Come tutti sappiamo, questo detto significa immaginare di essere al posto di qualcun altro, capire i suoi pensieri e le sue azioni. E questo ci rimanda all’empatia.

Il termine empatia (parola di origine greca che letteralmente vuol dire “sentire dentro“) indica la capacità di provare dentro di noi i sentimenti dell’altro, comprenderlo davvero. L’empatia ci permette di entrare in relazione con l’altro, costruendo una comunicazione più profonda che oltrepassi anche il livello verbale, scavando nei significati psico-emotivi più nascosti.

Una piccola curiosità psicologica. Per poter sviluppare l’empatia, è necessario prima sviluppare una teoria della mente. Si tratta di un’abilità che si forma nell’infanzia e che consente di attribuire stati mentali (credenze, emozioni, ecc) a se stessi e agli altri e allo stesso tempo di comprendere che i propri stati mentali sono diversi da quelli altrui. Come è facilmente intuibile, non possiamo “metterci nei panni” dell’altro se prima non capiamo che l’altro non la pensa necessariamente come noi.

Negli anni ’80 Joseph Perner e Heinz Wimmer hanno sviluppato il test della falsa credenza, noto anche come il test di Sally e Anna. Si tratta di un test che viene sottoposto ai bambini per identificare il loro livello di sviluppo di una teoria della mente. Nel test, si presenta al bambino una situazione in cui due bambole, Sally e Anna, si trovano in una stanza. Sally ha un cestino, mentre Anna ha una scatola. Sally ha una biglia e la mette nel suo cestino. Dopodiché, esce a fare una passeggiata. Mentre Sally è fuori, Anna prende la biglia dal cestino e la trasferisce nella sua scatola. Al bambino viene fatta questa domanda: quando Sally tornerà dalla passeggiata, dove cercherà la biglia?

Il bambino che ha sviluppato una teoria della mente, e che quindi sa mettersi nei panni di un’altra persona, comprenderà che Sally andrà a cercare la biglia nell’ultimo posto dove l’ha vista, cioè il cestino. Generalmente i bambini rispondono correttamente dai 4 anni in su.

Soffermandomi sul detto “mettersi nei panni di qualcuno” non ho potuto non dare rilievo alla parola panni. Non ho potuto non pensare a quanto l’abbigliamento sia importante nel dare forma a questo modo di dire.

Pensate che anche in inglese l’espressione utilizza un riferimento all’abbigliamento. In inglese infatti “Mettiti nei miei panni” si dice “Put yourself in my shoes“, riferendosi quindi alle scarpe.

Ma perché proprio l’abbigliamento e non altre parole più generiche come “mettersi al posto di qualcuno”?

Perché l’abbigliamento è identità. Il nostro modo di vestire ci definisce, identifica chi siamo, la nostra appartenenza culturale, i nostri ideali. Le scelte che facciamo in termini di abiti, accessori, trucco, colori, forme parlano di noi.

L’abbigliamento è una metafora del nostro essere.

Quindi, identificarsi in qualcun altro passa metaforicamente dai suoi panni. Dove i panni non sono meramente delle stoffe che coprono il nostro corpo, ma sono potenti mezzi di comunicazione, tanto dell’aspetto individuale, quando di quello sociale di ciascuno di noi.

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